SOSTENITORE DELLA FOLGORE

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martedì 10 novembre 2015

Papa Francesco: sogno una Chiesa italiana vicina alla gente, libera dal potere



Sogno una Chiesa italiana vicina alla gente, che non sia ossessionata dal potere e che si faccia guidare senza paura dal soffio dello Spirito Santo. È quanto affermato da Papa Francesco nel discorso ai 2500 partecipanti al Convegno Ecclesiale Nazionale, nella Cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore. Il lungo e programmatico intervento del Papa è stato anticipato dal saluto del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e da alcune testimonianze. Da Firenze, il servizio di Alessandro Gisotti:

Il sogno di una Chiesa libera e vicina alla gente, guidata dallo Spirito Santo, lontana dal potere. Nella cornice spettacolare, per la sua bellezza, della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Francesco parla della sua visione profetica per la Chiesa italiana. Un discorso programmatico, preceduto da testimonianze toccanti. Una catecumena, una coppia con una storia di fallimento matrimoniale alle spalle, un immigrato albanese divenuto sacerdote in Italia. Le testimonianze hanno ricordato quell’immagine del “poliedro” che sta tanto a cuore a Francesco. Ricchezza di esperienze nelle diversità delle storie per una Chiesa che, ha sottolineato nel suo saluto il cardinale Angelo Bagnasco, “desidera uscire, annunciare, abitare la storia, educare, trasfigurare nella fede” per dar vita ad un nuovo umanesimo.

La testimonianza di una famiglia: fidiamoci di una Chiesa che è madre
Particolarmente commoventi sono state le parole dei coniugi Pierluigi e Gabriella Proietti, oggi impegnati nel Centro di formazione e pastorale familiare Betania di Roma, che hanno raccontato la loro storia di sofferenza per due matrimoni falliti, poi dichiarati nulli, vivendo la crisi in solitudine e senza sostegno fino alla decisione di fidarsi di una Chiesa come di una “madre sapiente” per ricostruire la propria vita. E così, hanno confidato, le proprie “ferite sono diventate feritoie di luce”:

“In sintesi, la nostra esperienza è quella di persone che, percosse dalla vita e abbandonate sul ciglio della strada, hanno conosciuto la mano tesa di un 'samaritano', di qualcuno non ripiegato su di sé, ma capace di vedere la necessità dell'altro, di soccorrerlo con amore e sapienza per affidarlo a Cristo che solo può guarire nel profondo”.

A loro, ai delegati al Convegno ecclesiale e, attraverso di essi, a tutta la Chiesa e infondo alla società italiana, Francesco ha indicato l’orizzonte di una comunità cristiana vicina alla gente, libera, che non ha paura di confrontarsi con le sfide del nostro tempo. Il Pontefice prende spunto dall’affresco che nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore raffigura il “Giudizio Universale” e subito evidenzia come Dio non ha mandato suo Figlio per condannare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. E avverte che anche noi siamo chiamati ad abbassarci, “a svuotarci” come il Signore sulla Croce, altrimenti “non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto”.

La Chiesa eviti di rinchiudersi in strutture di falsa protezione
Francesco parla così di una Chiesa che deve guardare a tre dimensioni del vero umanesimo: l’umiltà, il disinteresse, la beatitudine. Il primo sentimento, avverte, deve proteggerci dall’ “ossessione di preservare la propria gloria, la propria dignità, la propria influenza”. Quindi, parla del disinteresse, perché “quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio”:

“Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo”.

“Dobbiamo seguire questo impulso – ha ripreso – per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù”. Il cristiano, ha soggiunto, è beato quando “ha in sé la gioia del Vangelo”. Per i grandi Santi, ha ribadito, “la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà”.

La Chiesa non sia ossessionata dal potere, altrimenti diventa triste
Tuttavia, ha ripreso, “anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine”: nella solidarietà, nel sacrificio, nel lavoro “a volte duro e mal pagato”. Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi tre tratti, ha ribadito, “dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità”.

“Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste”.

Francesco ha così indicato due tentazioni che possono ostacolare il cammino del rinnovamento. “Non quindici come alla Curia”, ha aggiunto a braccio con una battuta scherzosa. La prima, ha ammonito, è quella “pelagiana” che “spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene”, ponendo fiducia “nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte”:

“Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative”.

Chiesa si lasci guidare dallo Spirito Santo
La dottrina cristiana, ha ripreso, “non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo”. Ed ha ribadito che la riforma della Chiesa, “non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture”, ma nel radicarsi in Cristo. La Chiesa italiana, ha esortato, “si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante”, “sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa”. Una seconda tentazione da sconfiggere, ha avvertito, è quella dello gnosticismo che confida nel ragionamento, ma perde la tenerezza della carne del fratello. Qui, il Papa cita la semplicità di personaggi come il don Camillo di Guareschi che univa la preghiera alla vicinanza al popolo:

“Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte”.

Ai pastori chiedo di non staccarsi mai dal popolo
Il Papa sottolinea quindi che il “popolo e i pastori” sono chiamati assieme a decidere cosa fare per dare vita a questo nuovo umanesimo. Ai vescovi, ha detto, “chiedo di essere pastori, non di più, pastori: sia questa la vostra gioia: 'Sono pastore'. Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi”:

“Di recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente. Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo”.

Non abbiate paura di dialogare con tutti
“Come pastori – ha ribadito – siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi”. E, con Giovanni Paolo II, ha ribadito l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri. “Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro – ha aggiunto – la povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza”. Quindi, ha raccomandato in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro:

“Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria 'fetta' della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo”, non dobbiamo neppure avere paura "di arrabbiarci insieme", ha aggiunto a braccio.

Cari giovani, impegnatevi per un’Italia migliore
“Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi – ha ripreso – è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia”. Ricordatevi inoltre che “il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”. Quindi, il Papa ha voluto rivolgere un pensiero speciale ai giovani italiani, oggi spesso purtroppo sfiduciati:

“Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni”.

Chiesa italiana sia vicina ai dimenticati e agli imperfetti
“Le situazioni che viviamo oggi – ha detto – pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere”. Ma, ha detto ancora una volta, la Chiesa italiana è chiamata non a costruire “muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”:

“Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.

Il Papa ha così invitato le diocesi a cercare di avviare “in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium”. Credete “al genio del cristianesimo italiano – ha concluso - che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese”.



Fonte Radio Vaticana

Lince








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