Neppure la strage del museo del Bardo di Tunisi, nel febbraio scorso, ha impedito che il massacro della spiaggia di el-Kantaoui destasse in Europa stupore oltre che raccapriccio. Ma che la Tunisia avrebbe continuato ad essere un bersaglio per i jihadisti era non solo previsto da tutti gli analisti ma anche inevitabile considerato che è l’unico Paese arabo sopravvissuto alla sua “primavera”: Ha mantenuto la stabilità, lo Stato controlla il territorio (a parte il santuario jihadista del Gebel Chaalabi al confine algerino) e le sue profonde radici laiche e socialiste hanno scongiurato l’instaurarsi di un regime islamista.
Della persistenza di sacche di sostegno a jihadisti e Stato Islamico sono consapevoli le forze di polizia e i militari mandati nelle ultime 48 ore a presidiare hotel, sedi istituzionali e punti sensibili come le località turistiche in tutto il Paese. Con un’iniziativa senza precedenti il governo si appresterebbe a chiudere 80 moschee in mano ad Imam salafiti che incitano al jihad. Moschee dove si sono arruolati gran parte dei 3 mila foreign fighters tunisini che hanno raggiunto lo Stato Islamico in Siria e altri 4 mila che si sono insediati in Libia. Un report della società TAM-C Intelligence e reso noto dall’Huffington Post rivela che i supporter tunisini dello Stato Islamico avevano già preannunciato da tempo sui social media che avrebbero colpito la Tunisia d’estate pigliando di mira i turisti. «Verremo in Tunisia quest’estate e lacereremo la carne dei tiranni cristiani che non meritano di godersi il sole e il mare», si leggeva mesi or sono in uno dei messaggi. In alcuni casi, ricorda il giornale on line, i post erano accompagnati da fotografie di presunti terroristi con armi in mano e vicino la scritta: «Verrò in Tunisia quest’estate».
Gli autori dei proclami in rete suggerivano di colpire i turisti in tutti i modi possibili: investendoli con le auto; adescandoli negli hotel, nei ristoranti e nei bar per poi ucciderli con decapitazioni, linciaggio, affogamento o avvelenamento. Di questa galassia jihadista faceva parte anche Seifeddine Rezgui, il giovane autore dell'attacco di Sousse che sul suo profilo Facebook non avrebbe mai nascosto la volontà di immolarsi per il jihad. Il condizionale è d’obbligo perché ufficialmente il governo tunisino definisce Rezgui un insospettabile, ma la radio Kapitalis è riuscita a visionare il suo profilo Facebook prima che venisse oscurato dalle autorità trovandovi molti riscontri delle tendenze jihadiste del giovane che si diceva «pronto a morire per l'instaurazione di uno Stato islamico». Non dimentichiamo poi che sono oltre 8 mila i tunisini arrestati perché sorpresi mentre cercavano di raggiungere i territori controllati dal Califfato per combattere o, nel caso di molte giovani donne, per offrirsi in moglie ai combattenti del jihad.
In Tunisia operano da anni due movimenti salafiti legati ad al-Qaeda, ma ora probabilmente affiliati allo Stato Islamico: Ansar al- Shareia tunisina (un altro movimento con lo stesso nome è attivo in Libia, soprattutto a Bengasi e in Cirenaica) e il Battaglione Uqba Ibn Nafi, affiliato ad «al-Qaeda nel Maghreb Islamico». I campi d’addestramento dello Stato Islamico distano appena 45 chilometri dal confine tunisino e si trovano a Sabratha, sulla costa libica da dove salpano i barconi di clandestini diretti in Italia. Secondo fonti militari vicine al governo di Tobruk, a Sabratha esiste da tempo la base addestrativa dello Stato Islamico frequentata soprattutto da jihadisti tunisini, ma l’esistenza del campo è stata negata dal governo islamista di Tripoli che dovrebbe in teoria esercitare la propria sovranità su quei territori a ovest della capitale. Del campo di addestramento riferì nel febbraio scorso Ahmed Mesmari, portavoce militare del governo libico ufficialmente riconosciuto, in un’intervista al quotidiano tunisino Assarih. Anche nella stessa Sousse non mancano certo i simpatizzanti del jihad riuniti in organizzazioni salafite che pare abbiano di fatto il controllo di diversi quartieri e sobborghi della città dove vengono reclutati i giovani da inviare oltre confine per l’addestramento. Non è un caso che almeno un terzo dei tunisini che hanno ingrossato le fila dello Stato Islamico provengano dalla provincia di Sousse.
Dopo l’attentato di venerdì il governo tunisino ha deciso di istituire un servizio di polizia turistica a difesa degli hotel e villaggi turistici e dei loro ospiti stranieri. Le autorità di Tunisi hanno annunciato ieri di voler dispiegare per il momento circa mille poliziotti armati negli hotel presenti lungo la costa in attesa di dare vita a un corpo di polizia turistica (che in Egitto esiste da molti anni) per prevenire il rischio di ulteriori attacchi contro i luoghi turistici e gli ospiti stranieri. Del resto zone e spiagge turistiche non sono un bersaglio nuovo per i jihadisti per chi ricorda l’attentato qaedista a Bali che nel 2002 fece strage di cittadini australiani in vacanza o i tanti attacchi compiuti a Luxor, il Cairo e nel Sinai per colpire il turismo internazionale e affondare l’economia egiziana.
Come spesso accade l’Occidente ha la memoria corta, così corta da non ricordare neppure che proprio le bianche spiagge di Sousse erano state arrossate dal sangue di un atto terroristico appena due anni fa. Nell’ottobre 2013 un kamikaze si fece esplodere sulla spiaggia davanti all’hotel Rihad Palm. Per fortuna il terrorista attivò troppo presto il detonatore e l’unico a lasciarci la pelle fu lui stesso.
Fonte : La Nuova Bussola Quotidiana
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