Prendo spunto da un’articolo che ho letto di recente, scritto da un sacerdote di cui non riesco a ricordare il nome il quale scriveva che bisogna chiedere perdono e perdonare per stare in pace con Dio, per perdonare noi stessi per le nostre cadute. E che si dice anche che non c'è vero perdono se non si dimentica ma che è impossibile perdonare davvero. Però quando torniamo continuamente sulla ferita ,siamo assaliti dal rancore, e solo se dimentichiamo l’offesa per ciò che ci è accaduto, possiamo ricominciare.
Allora inizia la mia riflessione. Sappiamo tutti che ci sono ricordi incancellabili, ed esperienze che restano incise nel nostro subconscio per sempre. La memoria che custodiamo in noi, ci fa rivivere tutto ciò che pensavamo fosse dimenticato.
Per questo è necessario saper distinguere tra perdono e oblio che spesso non possono andare di pari passo. Perdonare indubbiamente ci guarisce sempre e ci risana il cuore, così come essere perdonati.
Ma perdonare è una grazia di Dio, perché dal punto di vista umano è una conquista a volte troppo difficile da raggiungere. Innumerevoli volte ci accorgiamo di essere incapaci di perdonare chi ci ha offeso! Quante volte ancora, ci rendiamo conto dell'esistenza di rancori calcificati dentro alla nostra anima che ci offuscano la fiducia verso gli altri!
Il perdono ci può far rialzare e intraprendere un nuovo cammino e ci riconcilia con la vita, con il mondo, con noi stessi e rende il peso più leggero.
Ma il passare degli anni ci lascia delle ferite nell'anima. A volte ci sono offese pesanti non perdonate e chiuse dentro di noi. Ma perdonare è comunque una grazia.
Spesso però ci sono sentimenti umani che ci impediscono di farlo, come ad esempio il fatto di pensare che si ha ragione, oppure l'ingrandire le dimensioni dell'offesa.
Temiamo che perdonando non staremmo dando il giusto valore a quanto ci è successo, e l’atto di perdonare ci fa pensare di metterci al loro livello. Per questo vorremmo che chi ci ha offeso si umiliasse, imparasse una lezione, cambiasse e che non lo ripetesse più.
Il perdono dunque è anche condizionato a un cambiamento di atteggiamento da parte di colui che ha offeso e leso la nostra dignità. Così perdoniamo se gli altri si pentono, e se compensano il danno che ci hanno provocato, se riconoscono la propria colpa e si fanno piccoli, impegnandosi a non ricadere nello stesso errore.
Perdonare incondizionatamente non è facile e ci resta sempre uno spiraglio di rancore. Una porta aperta all'amarezza, al rifiuto.
Quali rancori abbiamo nell’anima e nella nostra storia personale? Non penso che l'oblio sia tanto facile. Credo che non sia possibile quasi mai. Ci sono ferite, rancori che pesano, di esperienze non dimenticate. Come è possibile dimenticare quello che ci ha segnati per sempre? È troppo complicato. perché fa parte della nostra storia . È come dimenticare qualcosa che ci costituisce, è una parte della nostra identità.
Quando dimentichiamo, solitamente è perché la ferita è stata superficiale e l'offesa non è stata tanto grande. Le riteniamo esperienze negative che si sono perse nel passato e alle quali non abbiamo ritenuto di dare tanta importanza.
La memoria è come un bagaglio a mano che viaggia sempre con noi e che ci serve per affrontare la vita, imparare dal passato, a conoscere la nostra storia e ringraziare e offrirle ciò che Dio fra le cose che ci ha donato. La memoria ci aiuta ad andare oltre, al di là . Sicuramente bisogna perdonare, ma dimenticare non è possibile.
Ci sono delle ferite insanabili della vita , che spesso sanguinano perché hanno intralciato il nostro cammino. Le ricordiamo in modo nitido e ci facciamo domande continuando a sentirne il male. Ma non il dimenticare ciò che è successo, infondo non è così necessario e nemmeno possibile, poi per quanto si voglia formattare l'hard disk della memoria, non ci si riesce, e a volte è addirittura impossibile.
A questo proposito allora, mi torna alla mente la storia di una persona cara, un amico, si chiama Massimo Coco, ed è il figlio del primo procuratore ucciso nel primo agguato terroristico della storia eversiva e purtroppo troppo spesso non citato, Francesco Coco. Massimo nel suo libro “ Ricordare stanca”, dice a questo proposito che lui non riesce a perdonare chi uccise il padre nel periodo in cui era ancora adolescente, privando così anche suo figlio Francesco, che porta il nome dell'illustre nonno, di una parte della memoria storica della sua famiglia e di quella figura che sarebbe stata fondamentale per la sua crescita di figlio, e di nonno per il nipotino. E che lo ha anche privato dei ricordi normali e belli, che qualunque persona dovrebbe avere della propria famiglia.
Inoltre il mio amico avanza anche un’altro aspetto che non è assolutamente trascurabile , quando sottolinea giustamente ( almeno secondo il mio modo di pensare ), che per lui non è stata assolutamente una lezione di vita quella, e che ritiene di non avere il diritto di perdonare al posto di suo padre, cioè in sua vece, o per contro, di odiare per lui, al posto suo.
Per cui a chi esorta il perdono facile, si chiede : a voi chi da questo diritto se non lo da nemmeno a me?
Mi viene in mente anche un’altra situazione, quella di persone che a causa di uno sterminio provocato da menti malate e diaboliche, si trovano esattamente nella situazione di Massimo, cioè quella di non avere più una famiglia, poiché, a causa di questa decimazione, la famiglia non ha più potuto moltiplicarsi nel tempo mancandone la maggior parte degli elementi.
Il che significa per una persona, che guardandosi attorno durante i momenti difficili che capitano a tutti nella vita e in cui invece se ne avrebbe bisogno, di non riuscire a trovare volti famigliari, quelli che solitamente si dovrebbero riconoscere anche solo attraverso uno sguardo o da un sorriso quelli che magari incontri dopo tanto tempo, che improvvisamente ti ricordano qualcuno che ti è stato prossimo facendoti dire : si, sei proprio tu, ti riconsco perché hai lo stesso modo di sorridere o di parlare di…
Sono certa che pochi riflettono su questo fatto. Riesce a farlo solo chi ha sofferto per queste cose.
Non posso giudicare chi mi ha ferito , è vero, ma posso e devo allontanarmi dalla sua presenza. Non posso desiderare che soffra ciò che ho sofferto io, anche questo è vero, ma devo costruire su quella roccia, la mia storia.
Non posso decidere che il ricordo scompaia, ma posso decidere come agire, come trattare colui che Dio metterà nuovamente sul mio cammino, come confiderò in lui anche se una volta o più di una, sono stato tradito. Non è facile, ma questo è il cammino per la pace e per l'unità.
Leggevo che padre Josef Kentenich diceva : “Ci sono punti che non cicatrizzano mai; punti nella vita in cui, anche se me ne ricordo vagamente , tutto si risveglia in me.
Quante divisioni diventano profonde perché non riusciamo a ricominciare! Quante volte l'unità non è possibile perché non abbiamo questa capacità di perdonare! Ci manca il coraggio per trattare l'altro come se tutto fosse superato, senza il ricordargli ciò che è successo gettandogli in faccia le sue miserie.
Ci sono punti della nostra storia che ci costano, ferite che forse non riusciremo mai ad accettare e guarire, cicatrici profonde nella nostra anima che non potremo mai superare del tutto se non offrendole tutte a Maria. Ma a me rimane la domanda su quale sia il limite di questo e cioè : Fino a che punto e soprattutto cosa è giusto perdonare? Infondo siamo umani
di Marilina Fenice Grassi
Normalmente il perdono è legato al pentimento del peccatore perché altrimenti avrebbe poco senso. "Fatti audaci dal perdono, torneranno all'armi ancor! Struggi o re queste Ciurme feroci!" E' il grido unanime dei sacerdoti di Ammon verso il Faraone nel dramma operistico dell'Aida verdiana. Saggi consigli di allora, epoca in cui, per altro, era prassi cosolidata anche nel Deuteronomio, applicare la legge del taglione. Perdonare a chi non è pentito sarebbe effettivamente poco produttivo dal punto di vista pedagogico. La sahrya è basata su tale principio "Occhio per occhio, dente per dente", che, in verità è un deterrente non da poco per i peccatori impenitenti. La Bibbia, afferma pure comunque che la "vendetta è di Dio". Conservare una memoria ossessiva delle offese ricevute potrebbe però anche essere un modo di meditare, preparare e programmare la vendetta ed è senz'altro un umiliare il peccatore, anche se è pentito, con il ricordo continuo delle sue colpe. Il tema sarebbe interessante e varrebbe la pena di essere esplorato con qualche attenzione perché il concetto di Giustizia esigerebbe un contrappeso nella prassi della vendetta. "Maestro, quante volte devo perdonare a mio fratello?" E la risposta è settanta volte sette.La novità del Cristianesimo cattolico sta proprio nell'esortare ad imitare Dio che oltre alla Giustizia pratica pure la misericordia. Forse perchè Dio sa bene che "siamo umani"?
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