Tagliare le emissioni di anidride carbonica del 30 per cento entro il 2030. E’ l’obiettivo del piano del presidente statunitense, Barack Obama, illustrato ieri citando l’Enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco. Sulla valenza del progetto, Eugenio Bonanata ha intervistato Sergio Marelli, presidente del Cisa, il Comitato italiano sovranità alimentare:
R. – Una dichiarazione, quella del presidente degli Stati Uniti, molto importante, soprattutto in considerazione del fatto che tra gli attori internazionali, cioè tra gli Stati che oggi stanno negoziando le misure da assumere per la lotta ai cambiamenti climatici, gli Stati Uniti hanno la maggiore responsabilità essendo i maggiori inquinatori - in termini quantitativi, ovviamente - dell’atmosfera. Quindi un impegno del presidente degli Stati Uniti era la mossa che da tempo ci si aspettava per avere uno dei grandi inquinatori - l’altro, ricordiamolo, è la Cina - pronto ad assumere finalmente delle misure efficaci per combattere i cambiamenti climatici.
D. – Come valutare gli obiettivi fissati da Obama, anche alla luce del passato e quindi in riferimento al rifiuto del Protocollo di Kyoto da parte degli Stati Uniti?
R. – Farei una considerazione anzitutto politica: Obama è al suo secondo mandato e notoriamente nella storia dei presidenti degli Stati Uniti, senza l’impegno pressante di un rinnovo elettorale alla carica di capo della Casa Bianca, diciamo che questi sono in grado di poter assumere delle scelte "più coraggiose". Da un punto di vista più tecnico e scientifico, non bisogna dimenticare che il 30 per cento se da un lato è una riduzione importante, che chiederà anche una grande responsabilità e degli innegabili sacrifici ai cittadini statunitensi, tuttavia non si può dimenticare che l’obiettivo fissato dalla comunità internazionale e riconosciuto da buona parte della comunità scientifica è molto più alto: occorrerebbe entro il 2030 ridurre del 30 per cento le emissioni di Co2 dei gas inquinanti, ma dai livelli del 1992 e quindi ben di più del 30 per cento di riduzione dai livelli attuali. Un passo importante, un passo significativo da tempo atteso, ma purtroppo ancora insufficiente. Sperando che sia il primo passo su una buona strada.
D. – Gli Stati Uniti e i repubblicani sono scettici: quale sarà l’impatto sull’economia americana?
R. – Il problema dell’impatto dell’economia sui cambiamenti climatici è un problema di differenza di visione tra il breve e il medio e lungo periodo. Chi pensa di risollevare l’economia nel breve periodo, anche a sacrificio dell’ambiente e del clima e quindi del futuro, non ha uno sguardo lungimirante. Condivido e sono assolutamente d’accordo con coloro i quali dicono: “oggi si impongono dei ‘sacrifici’, delle riduzioni, perché è l’unica strada per poter garantire la sostenibilità in futuro”.
D. – In sostanza qual è l’eredità che Obama lascia al prossimo presidente degli Stati Uniti?
R. – La speranza è che lasci un’eredità di un Paese pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Non è che debbano fare solo loro: tutte le nazioni e tutti i governi hanno la necessità e l’obbligo di condividere questa grande responsabilità. Però io penso che il principio delle cosiddette responsabilità differenziate - e cioè chi più inquina, più deve impegnarsi - sia il principio giusto da applicare.
D. – Il capo della Casa Bianca ha citato il Papa. In che modo la “Laudato si’” ha ispirato Obama?
R. – Certo, è una Enciclica stravolgente, senza mezze parole, senza mezzi termini, che ha affrontato alcune questioni suppostamente dibattute nella comunità scientifica e che ha richiamato soprattutto un grande impegno nei confronti delle generazioni future per la tutela e la salvaguardia dei loro diritti. La “Laudato si’” è stata un passo importante, compiuto in un momento alquanto opportuno. E penso una ispirazione per tutti coloro i quali hanno a cuore il destino e il futuro della generazione umana.
Fonte Radio Vaticana
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