SOSTENITORE DELLA FOLGORE

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martedì 26 aprile 2016

1)Chernobyl: 30 anni dal disastro ancora a rischio radiazioni - 2) Ancora nessuna decisione sulla missione italiana in Libia



Sono trascorsi trent’anni dal più grave incidente della storia dell’energia nucleare. Il 26 aprile del 1986, il reattore numero 4 della centrale dell’allora Unione Sovietica esplose e bruciò per più giorni a causa di una serie di errori umani e guasti tecnici. Un dramma attuale per le aree e le popolazioni ancora contaminate. La ricorrenza è stata ricordata dal Papa all’ultima udienza generale. Francesco ha rinnovato la preghiera per le vittime di quella tragedia, esprimendo riconoscenza per i soccorritori e per tutte le iniziative con cui si è cercato di alleviare le sofferenze e i danni. Il servizio di




Marco Guerra: ------->

L'orologio segnava l'una, 23 minuti e 44 secondi nella notte del 26 aprile di trent’anni fa quando si verificò l'esplosione al reattore numero 4 della centrale di Chernobyl. Poco prima, nel sito nucleare sovietico, che ora si ricade in territorio ucraino, era iniziato un test che prevedeva la disattivazione dei sistemi di sicurezza per provare l’impianto di autoalimentazione del reattore. Errori umani e malfunzionamenti portarono al disastro. Si calcola che la quantità di radiazioni rilasciate fu 100 volte superiore alle bombe su Hiroshima e Nagasaki. La nube atomica raggiunse rapidamente tutta l’Europa. Nei giorni successivi, mentre Mosca cercava di nascondere la verità, proseguiva il lavoro incessante di migliaia di operatori, intervenuti a fermare la fuga radioattiva. Inizialmente, i 40 mila abitanti della limitrofa cittadina di Pripyat furono trasferiti altrove, poi furono in totale circa 350 mila le persone evacuate dalla regione. Le valutazioni sul numero delle vittime sono discordanti. Un rapporto dell’Onu conta 65 morti e almeno 4.000 mila casi di tumore attribuibili alle radiazioni. Cifre contestate da numerose associazioni umanitarie internazionali, che stimano non meno di 60 mila vittime per le conseguenze dirette dell’incidente. Oggi permane una zona di esclusione nel raggio di 30 km dalla centrale, dove si lavora per ultimare una nuova struttura di protezione alta 105 metri e lunga 150. L’opera procede a singhiozzo; proprio ieri però i donatori internazionali si sono impegnati a versare altri 87,5 milioni di euro per la costruzione del nuovo impianto di stoccaggio.




Ma che cosa ha insegnato all’umanità quel disastro? Giancarlo la Vella lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:




R. – Ha insegnato che certamente il tema dell’energia è un tema da maneggiare con grandissima cura, da maneggiare con moltissima attenzione. Nel tema del dominio che l’uomo vuole esercitare sulle fonti di energia – sia quelle naturali, sia quelle artificiali come in fondo è l’energia atomica – c’è tutta la storia di questi decenni, anche la storia delle guerre di questi decenni. E per quanto riguarda, nello specifico, il nucleare, abbiamo avuto anche la tragedia di Fukushima, in Giappone, a dirci che il pericolo non è scomparso ed evidentemente neanche le giuste cautele sono state prese dopo la tragedia di Chernobyl.




D. – Chernobyl ormai è una zona praticamente disabitata; 30 anni dopo esiste ancora il dramma di quanti sono stati contaminati …




R. – Io sono stato due volte a Chernobyl e l’area intorno alla centrale nucleare, per un raggio di 30 km è un’area chiusa, dove c’è stato però il dramma dei ritorni, perché soprattutto gli anziani hanno incominciato a tornare nelle loro case noncuranti del pericolo. Quell’area è una vera lezione: bisognerebbe vederla, perché dal punto di vista naturale, essendo assente l’uomo, è diventata una cosa stupenda. C’è una natura meravigliosa, rigogliosa. Però, per l’uomo è una zona morta. Il problema delle radiazioni e delle contaminazioni è stato naturalmente notevole, ma essendo avvenuto in un’epoca ancora sovietica, subito dopo è stato anche largamente rimosso. Probabilmente il vero bilancio di Chernobyl non lo conosceremo mai. Sappiamo, però, che è stato un bilancio terribile.




D. – Dopo Chernobyl, ma soprattutto dopo Fukushima, nel mondo è cresciuto il dibattito su “nucleare sì” e “nucleare no”: contemporaneamente, si è fatto molto poco per sviluppare le energie rinnovabili e ci si è affidati ancora di più a quelle fossili …




R. – Io temo che tutti gli sforzi sono stati prodotti proprio per aumentare lo sfruttamento delle energie fossili. Oggi siamo in una situazione in cui il petrolio costa meno dell’acqua da tavola e quindi, purtroppo, non si può che prevedere un incremento dell’uso delle risorse energetiche di natura fossile che sono diventate anche poco costose.




D. – Potrà esistere un nucleare sicuro?




R. – Per essere onesti, le centrali nucleari nel mondo sono molte, funzionano, e gli incidenti drammatici sono stati pochi. Il problema del nucleare è che l’incidente nucleare è sempre terrificante e quindi ci chiediamo se si può parlare di nucleare sicuro… Il nucleare, se vogliamo dirla tutta, è sicuro quando non succede nulla…






















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Ancora nessuna decisione sulla missione italiana in Libia







Sostegno unanime al governo del primo ministro libico, Fayez al-Serraj, dal vertice G5 – Usa, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia – che si è tenuto ieri ad Hannover. Da parte sua, il premier italiano, Matteo Renzi, ha assicurato che l'Italia sarà "sensibile" alle richieste di Tripoli, quando verranno "formalizzate". Per ora il governo libico avrebbe chiesto alla comunità internazionale un aiuto per proteggere i pozzi petroliferi dalla minaccia dell'Is. Questa mattina, intanto, fonti di governo e dello Stato maggiore della Difesa hanno smentito che l'Italia abbia offerto alla Libia l’invio di 900 soldati, come sostenuto da alcuni organi di stampa. Una fuga in avanti, questa notizia, rispetto alle decisioni ufficiali? Adriana Masotti lo ha chiesto a Andrea Margelletti, presidente del Csi, il Centro Studi internazionali:




R. – Quello del giornalista immagino sia un mestiere molto difficile, soprattutto quando magari su alcuni temi caldi le notizie non ci sono. Non mi pare che al momento il governo italiano si sia ufficialmente espresso sull’invio di soldati in Libia, né tantomeno si sia espresso su quali tipologie di missioni si devono andare a compiere.




D. – Eppure, arrivano notizie di preparativi in corso in Libia per l’arrivo eventuale di forze italiane…




R. – Sinceramente, non ho idea se ci sono preparativi in Libia. Non mi pare che in questo momento ci siano reparti italiani che si occupano di trasmissioni e di logistica, che siano presenti ufficialmente in Libia per cercare di organizzare i campi e le basi all’interno dei quali dovranno poi operare e vivere i nostri militari.




D. – Qual è l’iter che uno Stato, l’Italia in questo caso, deve seguire per decidere una missione internazionale?




R. – Prima di tutto, per lunga e consolidata tradizione, l’Italia ha sempre operato all’interno di una coalizione internazionale e quindi non vedo ancora un’alleanza: vedo un grande consenso ma non un’alleanza di Paesi che dicono “sì, stiamo partendo, fra un mese andremo...”. Seconda cosa, non stiamo parlando naturalmente delle forze speciali e dell’intelligenceche devono, come logico e doveroso, operare nella discrezione, nella riservatezza, ma stiamo parlando di reparti convenzionali delle Forze armate, quindi dovrà esserci una comunicazione e un passaggio parlamentare. Non ricordo l’invio di forze militari senza un passaggio parlamentare, però ci sono, molti, moltissimi suoi colleghi che da mesi sono eccitati riguardo questa missione e pensano a dei numeri e mi chiedono: “Ma sono troppi, ma sono pochi…”. E io rispondo a tutti: “Ma se non abbiamo deciso cosa andiamo a fare, come facciamo a commentare se sono tanti o pochi?




D. – L’unica cosa certa è quindi la disponibilità, più volte ripetuta dal premier Renzi, di collaborare con la Libia…




R. – Esattamente e non ci sono dubbi sul fatto che esistano piani di intervento.




D. – Tempo fa, il governo aveva anche convenuto che un intervento armato nella situazione attuale della Libia non sarebbe poi la soluzione più giusta …




R. – Il vero punto è che tipo di intervento si decide di fare. Si stanno sparando veramente numeri sul nulla, perché non si sa se parliamo di ricostruzione delle Forze armate, supporto logistico, combattimento, pattugliamento … finché non sono definite queste regole basiche, non ha veramente senso discutere di tutto il resto.




D. – E forse una richiesta più precisa da parte del governo libico potrà arrivare solo quando il governo sarà entrato pienamente nelle sue funzioni…




R. – Sì, in Libia la confusione regna ancora sovrana. Il governo sta cercando in qualche maniera di strutturarsi, di avere una legittimità in mezzo a tanti attori, locali e non solo, che magari non lo guardano con particolare favore.




D. – Qualcuno dice che l’Italia ha timore di pronunciarsi apertamente sul suo sostegno alla Libia per eventuali ritorsioni poi del terrorismo. Tutte voci campate in aria?




R. – L’Italia è, come tutti i Paesi che combattono il terrorismo in prima fila, un Paese estremamente a rischio. Abbiamo la fortuna di avere un comparto di forze di sicurezza, forze dell’ordine e servizi di informazione e intelligence che funzionano bene. Tendo, comunque, a pensare che fuggire dalle responsabilità non renda più forti ma semmai più vulnerabili.






Fonte Radio Vaticana - Marilina Lince Grassi




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