In memoria di Marvin Minsky, romantico della scienza
E' recentissima la notizia della morte di Marvin Minsky,
pioniere dell'intelligenza artificiale. Famoso per i modi rudi e per le
posizioni sprezzanti su molte questioni, pensava che un giorno l'uomo
arriverà a delineare una teoria della mente definitiva, ma non sulla
base di pochi principi e assiomi matematici. In questo ritratto, frutto
di un incontro del 1993, emergono tutti i tratti di una personalità e di
una statura scientifica fuori da comune (John Horgan)
Marvin Minsky, pioniere dell'intelligenza
artificiale, è morto domenica 24 Gennaio, a Boston, all'età di 88 anni.
Per “Scientific American”, Minsky ha scritto due importanti articoli: Artificiale Intelligence, sulle sue teorie delle menti multiple e Saranno i robot a ereditare la Terra? sul futuro dell'intelligenza artificiale.
Nel 1993 scrissi un profilo di Minsky per “Scientific American” dopo
aver trascorso un pomeriggio con lui nell'Artificial Intelligence
Laboratory del MIT, e di nuovo nel libro La fine della scienza (Adelphi, Milano, 1998). Di seguito, è riportata una versione rivisitata e corretta di quest'ultimo ritratto.
Prima di andare a trovare Marvin Minsky al MIT, i colleghi mi avevano
avvertito che avrebbe potuto tenersi sulla difensiva, o addirittura
rivelarsi ostile. Per evitare che l'intervista finisse presto, non avrei
dovuto chiedergli troppo bruscamente delle scarse fortune
dell'intelligenza artificiale o delle sue particolari teorie della
mente. Un ex membro del suo gruppo mi avvertì di non approfittare della
propensione di Minsky per le espressioni esagerate. "Chiedigli sempre
che cosa intende dire effettivamente, e se non ripete una cosa tre volte
non dovresti utilizzarla”, mi disse.
Quando lo incontrai, Minsky era piuttosto nervoso, ma la condizione
sembrava congenita piuttosto che acquisita. Si agitava incessantemente,
sbattendo le palpebre, agitando un piede o spostando gli oggetti sulla
scrivania. Diversamente dalla maggior parte delle celebrità
scientifiche, mi diede l'impressione di concepire nuove idee da zero
invece di recuperarle già pronte dalla memoria.
Fu spesso incisivo, ma non sempre. "Ora sto divagando”, mormorò dopo
un discorso improvvisato sulla verifica dei modelli di mente sfociato in
un mucchio di frasi frammentarie.
Anche il suo aspetto fisico aveva un che d'improvvisato. La grande testa
rotonda sembrava completamente calva, ma era in effetti orlata da
capelli trasparenti come fibre ottiche. Indossava una cintura
intrecciata che sosteneva, oltre ai suoi pantaloni, anche un po' di
pancetta, e una piccola custodia contenente una pinza pieghevole. La
pancia e i tratti vagamente asiatici lo facevano assomigliava a un
Buddha, a un Buddha reincarnato in un hacker iperattivo.
Nonostante
la fama di riduzionista duro e puro, il visionario Marvin Minsky era
un romantico della scienza, per il quale la ricerca della conoscenza
contava più della conoscenza stessa. (Wikimedia Commons)Minsky
mi sembrò incapace di provare qualsiasi emozione per lungo tempo, o
forse non aveva intenzione di farlo. Cominciò confermando la sua
reputazione di riduzionista convinto dai modi burberi, esprimendo
disprezzo per coloro che dubitavano che i computer potessero acquisire
una coscienza.
“La coscienza è una questione banale", disse. “L'ho già risolta, e non
capisco perché la gente non mi ascolti”. La coscienza, nella sua
concezione, non era che un tipo di memoria a breve termine, un "sistema
di bassa qualità per conservare i dati registrati”. In realtà, i
programmi per computer come LISP, che consentono il recupero delle loro
fasi di elaborazione, secondo lui erano "estremamente consapevoli", più
di quanto lo siano gli esseri umani, con le loro unità di memoria
pietosamente limitate.
L'unico teorico della mente che, a parte lui, avesse veramente afferrato
la complessità della mente era già morto. “Freud ha elaborato le
migliori teorie finora, oltre alla mia, su come si costruisce una
mente”, mi spiegò Minsky.
Minsky derideva anche l'ipotesi dei re-entrant loop di Gerald
Edelman, definendola una teoria di feedback non particolarmente
originale, e snobbava l'Artificial Intelligence Laboratory del MIT, che
aveva contribuito a fondare, e dove lo incontrai. “Non ritengo che in
questo momento questo sia un serio istituto di ricerca", ebbe a dire.
Ma mentre vagavamo nel laboratorio alla ricerca di una conferenza su un
computer che gioca a scacchi, ci fu una metamorfosi. "Questo non è il
seminario sugli scacchi che era previsto qui?" chiese Minsky a un gruppo
di ricercatori che chiacchieravano in un salotto. “Si è tenuta ieri”,
rispose qualcuno.
Dopo aver chiesto del seminario, Minsky snocciolò racconti sulla storia
dei programmi per giocare a scacchi. Questa mini-lezione si trasformò in
un ricordo dell'amico Isaac Asimov. Minsky disse che Asimov, che rese
popolare il termine "robot, esplorando le sue implicazioni metafisiche
nei racconti di fantascienza, si rifiutò una volta di vedere i robot del
MIT, temendo che la sua immaginazione "potesse appesantirsi al contatto
con questo noioso realismo”.
Uno degli astanti, notando che lui e Minsky portavano alla cintura le
stesse pinze, estrasse lo strumento dalla fondina e lo aprì puntandolo
verso Minsky esclamando: “In guardia!”. Sorridendo, anche Minsky
estrasse la sua pinza, incrociandola con quella dello sfidante come in
un duello all'arma bianca.
Minsky iniziò a esporre il suo pensiero sulla versatilità, un suo
pallino, e sugli inconvenienti delle pinze: la sua, per esempio, lo
pizzicava durante certe manovre. “Puoi smontarla utilizzando la stessa
pinza?" chiese qualcuno. Tutti risero a questa allusione a un problema
fondamentale nel campo della robotica.
Tornando all'ufficio di Minsky, incontrammo una giovane coreana in stato
di gravidanza avanzata. Si trattava di una dottoranda che avrebbe
dovuto sostenere un esame orale il giorno successivo. "Sei nervosa?"
chiese Minsky. “Un po'”, rispose lei. "Non dovresti esserlo", disse
Minsky, premendo delicatamente la fronte contro quella di lei, come per
cercare d'infonderle la sua forza.
"Possediamo molti strati di reti di apprendimento automatico: ognuno di
questi strati si è evoluto per correggere i bachi e per adattare altri
elementi ai problemi del pensiero”, sottolineò. “È quindi improbabile
che il cervello possa essere ridotto a un particolare insieme di
principi o assiomi, perché abbiamo a che fare con un mondo reale e non
con un mondo matematico definito da assiomi”.
Secondo Minsky, l'IA non stava rispettando la sua promessa iniziale
perché i ricercatori moderni avevano ceduto all'“invidia della fisica",
cioè al desiderio di ridurre la complessità del cervello a formule
semplici. “Si stanno definendo specializzazioni sempre più spinte che
esaminano i problemi in modo più dettagliato, precludendo però
quell'ampiezza di videute necessaria per fare le cose in modo diverso”,
chiarì Minsky.
I ricercatori di IA non risucivano a cogliere il messaggio di Minsky che
la mente ha molti metodi per affrontare anche un solo, semplice
problema. Per esempio, se una persona ha un televisore che non funziona,
probabilmente prima considera il problema dal punto di vista puramente
fisico. Verificherà quindi se l'apparecchio è programmato correttamente,
oppure se il cavo è collegato. In caso di esito negativo, la persona
può chiamare un riparatore, trasformando così un problema di tipo fisico
a un problema sociale, come cercare un tecnico che può fare il lavoro
rapido ed economico.
“Questa è una lezione che non sono riuscito a trasmettere ai ricercatori
di intelligenza artificiale”, disse Minsky. “Secondo il mio modo di
vedere, il cervello ha più o meno risolto il problema di come
organizzare metodi diversi per farli funzionale quando essi, presi
singolarmente, falliscono abbastanza spesso”.
Via via che Minsky si addentrava nei discorsi, la sua enfasi sulla
molteplicità assumeva un tono metafisico e anche morale. Attribuiva i
problemi del suo settore - e della scienza in generale – a quello che
lui chiamava "il principio d'investimento", definito come la tendenza
degli esseri umani a continuare a fare qualcosa che hanno imparato a
fare bene invece che a cercare nuove soluzioni.
Minsky sembrava provare una sorta di orrore per la ripetizione, o meglio
per il pensiero unico. "Se qualcosa ci piace molto”, disse, “dovremmo
trascurare il fatto che questa sensazione ci fa stare bene, perché si
tratta di una sorta di cancro al cervello: una piccola parte della
nostra mente ha capito come spegnere tutto le altre”.
Minsky acquisì molte competenze durante la sua carriera - era esperto in
matematica, filosofia, fisica, neuroscienze, robotica e informatica -, e
scrisse persino numerosi racconti di fantascienza, perché amava la
sensazione di difficoltà che si prova nell'apprendere qualcosa di
difficile. “È così eccitante non essere in grado di fare qualcosa,
un'esperienza rara, quasi un tesoro”.
Immagine
del cervello ottenuta con la tecnica di risonanza magnetica nucleare a
diffusione. Minsky era convinto che quando le scansioni cerebrali
arriveranno a una risoluzione di un angstrom (un decimilionesimo di
millimetro) ci saranno le basi per una teoria della mente definitivaMinsky
era stato un bambino prodigio nel campo della musica, fino a quando
decise che la musica era soporifera. "Penso che la ragione per cui la
gente ama la musica è che sopprime il pensiero - il tipo sbagliato di
pensiero - invece di produrlo”, commentò. Minsky talvolta componeva
pezzi in stile bachiano su un piano elettrico nel suo ufficio, ma
cercava di resistere all'impulso. "A un certo punto, ho dovuto uccidere
il musicista che c'era in me", mi disse. "Di tanto in tanto ritorna, e
allora devo colpirlo".
Minsky non aveva pazienza per coloro che sostengono la mente non può mai
essere pienamente compresa. "Guarda, prima di Pasteur, si diceva 'La
vita è diversa; non la si può spiegare meccanicisticamente': qui è
esattamente la stessa cosa”, mi spiegò. “Ciò non toglie che una teoria
definitiva della mente sarà probabilmente molto complessa: dopo tutto,
pensiamo a quanto tempo occorrerebbe per descrivere con precisione tutte
le componenti e il funzionamento di un'automobile”.
Secondo Linsky, la correttezza di un modello della mente definitivo
avrebbe potuto essere dimostrata in vari modi. In primo luogo, una
macchina basata sui principi di tale modello avrebbe dovuto imitare lo
sviluppo umano. "La macchina dovrebbe essere in grado di iniziare come
un bambino e crescere vedendo film e giocando con le cose", disse
Minsky. Inoltre, una volta disponibili tecniche di imaging cerebrale
sempre più perfezionate, secondo Minsky, gli scienziati avrebbero dovuto
verificare se i processi neurali negli esseri umani viventi
corroborassero il modello.
"Una volta raggiunta una risoluzione di un angstrom nelle immagini
cerebrali, allora si potrà vedere ogni neurone nel cervello di una
persona; dopo aver analizzato il problema per mille anni alla fine si
potrà dire di sapere esattamente ciò che accade ogni volta che un
soggetto dice 'blu'”, spiegò. “Questo procedimento verrà verificato per
generazioni e la teoria funzionerà; andrà tutto per il verso giusto, e
questa sarà la fine della storia".
“Se gli scienziati raggiungeranno una teoria definitiva della mente – chiesi - che cosa rimarrà da esplorare”?
«Perché mi sta facendo questa domanda?" ringhiò Minsky. "La
preoccupazione che gli scienziati esauriscano i campi di ricerca è
pietosa", disse. "Ci sarà sempre molto da fare”. Secondo Minsky, noi
esseri umani, una volta raggiunti i nostri limiti come scienziati,
avremmo dovuto creare macchine molto più intelligenti di noi in grado di
continuare a fare scienza.
“Ma sarebbe una scienza delle macchine, non una scienza umana”, replicai.
"Tu sei un razzista, in altre parole", disse Minsky, mentre la sua
grande fronte a forma di cupola diventava paonazza. Scrutai il suo volto
in cerca di un segno d'ironia, ma non ne trovai. "Penso che la cosa
importante per noi sia crescere", continuò Minsky, “cioè non rimanere
nella nostra attuale stupida condizione". Noi esseri umani, aggiunse,
siamo solo "scimpanzé vestiti". Per Minsky, il nostro compito non
avrebbe dovuto essere quello di preservare le condizioni attuali, ma di
evolvere, e di creare esseri più intelligenti di noi.
Quando chiesi quali sarebbero stati gli interessi delle macchine
superintelligenti, Minsky suggerì, a mezza bocca, che avrebbero potuto
cercare di comprendere se stesse con il procedere della loro evoluzione.
Nel discutere la conversione della psiche umana in avatar digitali si
dimostrò più entusiasta.
Questo progresso tecnologico, secondo Minsky, avrebbe consentito
d'indulgere in attività pericolose, come prendere l'LSD o convertirsi a
una fede religiosa. "Considero l'esperienza religiosa molto rischiosa,
perché può distruggere il cervello in modo rapido. Certo, se potessimo
avere una copia di backup..."
Minsky disse d'interrogarsi su che cosa provasse Yo-Yo Ma, il grande
violoncellista, quando suonava in un concerto. Ma, con mia sorpresa,
Minsky dubitava che ci potesse essere una risposta. Per provare che cosa
provasse Yo-Yo Ma quando suonava, spiegò Minsky, sarebbero stato
necessario possedere tutti i ricordi di Yo-Yo Ma, cioè essere Yo-Yo Ma.
Ma diventando Yo-Yo Ma, Minsky avrebbe smesso di essere Minsky.
Questa era una straordinaria ammissione da fare per Minsky, perché
implicava che l'essenza di ogni individuo umano è irriducibile e
inconoscibile.
Nonostante la sua fama di riduzionista arrabbiato, Minsky era un
anti-riduzionista. La sua repulsione per il pensiero unico, la sua
passione per Freud, per l'apprendimento e per la novità, erano tutti
tratti di un romantico della scienza, per il quale la ricerca contava
più della semplice conoscenza.
(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 26 gennaio 2016. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
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